Galletti in audizione al Senato su ratifica ed esecuzione dell'Accordo di Parigi

Audizione del Sig. Ministro Gian Luca Galletti sul ddl. “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi collegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015”.

Voglio innanzitutto ringraziare il Senato per la celerità con cui sta procedendo nell’iter di approvazione del disegno di legge di ratifica sull’Accordo di Parigi del 2015, fondamentale per il futuro del nostro Pianeta.

E’ di ieri il dato dell’agenzia Meteo dell’Onu, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), che certifica il raggiungimento nelle concentrazioni di anidride carbonica della soglia di 400 parti per milione. Questo annuncio colpisce l’opinione pubblica ma non ci lascia di sorpresa:  rende semmai ancora più chiara la grandezza del passo compiuto a Parigi. E’ la scienza a dirci che non poteva esserci alternativa a  un accordo ambizioso e insieme vincolante per tutti gli Stati. Un fallimento delle trattative nella capitale francese sarebbe stata una colpa storica che sarebbe ricaduta su ciascuno di noi.

Invece arriveremo alla Cop22 di Marrakesh con l’accordo di Parigi già ratificato, come Italia e come Europa. E con noi grandi Nazioni come Usa, Cina, India: tutte accomunate da una responsabilità comune nei confronti degli abitanti di questo Pianeta.   

Voglio sottolineare a questo proposito quanto i tempi di ratifica dell'Accordo di Parigi siano stati molto più veloci rispetto a quanto avvenuto in passato per analoghi accordi internazionali: basti pensare che il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore dopo 8 anni dalla stipula, mentre per quello di Parigi sono stati sufficienti 8 mesi. Tutti i Paesi del mondo sono consapevoli dell’urgenza del momento e dell’importanza degli impegni assunti.

A Parigi siamo stati in grado di chiudere il primo vero accordo globale legalmente vincolante finalizzato a rafforzare la nostra risposta alla minaccia dei cambiamenti climatici. L’approvazione dell’Accordo identifica un momento storico, in cui abbiamo posto le basi per rendere universale e irreversibile la transizione verso un mondo resiliente ai cambiamenti climatici e neutrale dal punto di vista delle emissioni.

Sono diversi gli elementi nuovi e rilevanti che sono stati affrontati e regolati con questo nuovo Accordo. Tra i più importanti occorre sottolineare la fissazione dell'obiettivo di lungo termine di contenere il riscaldamento entro 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, con l’impegno ad operare attivamente per un ulteriore abbassamento della soglia a 1,5°C. Questo è punto per cui l’Italia e l’Unione Europea si sono impegnati con successo, facendo emergere il senso di urgenza che la natura del problema ci impone e includendo conseguentemente nel testo dell’Accordo una visione collettiva coerente di lungo periodo.

Il raggiungimento di questo obiettivo non potrà prescindere da una continua verifica delle azioni messe in campo e dai risultati raggiunti dai governi. A tale scopo abbiamo lavorato intensamente perché si stabilisse un unico sistema che assicuri la trasparenza del nuovo regime e richieda a ciascun paese di riportare i rispettivi progressi nella realizzazione dei piani di mitigazione, valutandone regolarmente con cadenza quinquennale la portata collettiva alla luce dell’obiettivo di rimanere al di sotto dei 2°C.

Il nuovo regime che abbiamo adottato a Parigi, pur confermando il ruolo guida dei paesi industrializzati, con diverse sfumature a seconda se si tratti di mitigazione, finanza e adattamento, amplia a tutti i paesi che ratificheranno l’accordo l’obbligo e l’opportunità di contribuire agli sforzi messi in campo in funzione del loro stadio di sviluppo.

Lo sviluppo dei vari paesi, le loro politiche energetiche, così come la continua evoluzione del clima richiedono un approccio dinamico e profondamente flessibile che sia in grado di dare risposta alle diverse minacce che la nostra società e il nostro pianeta devono fronteggiare. Ed è in questo che l’Accordo svolge un ruolo chiave, perché fornisce un’architettura duratura e solida per rivedere periodicamente ed accrescere nel tempo gli sforzi di tutti i paesi verso i nostri comuni obiettivi di lungo periodo. L’Unione Europea, e l’Italia in seno ad essa, sono in una posizione speciale in qualità di pionieri della lotta ai cambiamenti climatici e possiedono tutti gli strumenti e la necessaria ambizione per guidare tale sforzo anche nel prossimo futuro. 

Al riguardo, il contributo nazionale che noi abbiamo portato dentro l'Accordo di Parigi è quello sottoscritto dai Paesi europei in occasione del Consiglio Europeo del 23 e  24 ottobre 2014, sotto la presidenza italiana, l'INDC (contributo previsto stabilito a livello nazionale) per i successivi negoziati sul clima, con l’impegno da parte dei Paesi europei a ridurre le proprie emissioni di CO2 entro il 2030 di almeno il 40 per cento; al tempo stesso, in quella sede sono stati imposti target sia sul raggiungimento del livello di consumo di energie rinnovabili sia sul miglioramento dell'efficienza energetica, pari in entrambi i casi a valori obiettivo del 27 per cento.

Peraltro, è da notare che il target di riduzione di almeno il 40 per cento di CO2 è suddiviso in due sotto-obiettivi: il 43 per cento a livello europeo che per i settori soggetti ad emission trading (ETS) che comprende il comparto di produzione elettrica e i settori piu’ energivori; e un 30% per i settori cosidetti  non ETS (quali trasporti, civile, agricoltura, piccola industria) che viene suddiviso tra gli Stati Membri.

La sfida vera è ora quindi quella di attuare questa profonda transizione concordata attuando in primo luogo i contributi nazionali comunicati dalle Parti. Per molti Paesi in via di sviluppo questo richiede un sostegno costante per migliorare le limitate capacità nazionali, e su questo l’Italia ha dimostrato in diverse sedi di aver compreso prima di altri il ruolo chiave che questo tema avrà per il futuro dell’accordo. Ma non possiamo dimenticare che l’ambizione dell’accordo, per i paesi in via di sviluppo, sarà legato anche alla messa a disposizione per questi Paesi dei cosiddetti “mezzi di implementazione”: ovvero risorse finanziarie, capacity building e tecnologie adeguate. Pertanto, la cooperazione con i Paesi partner, e in particolar modo con quelli più vulnerabili, dovrà essere un elemento costante, coerente ed efficace della nostra azione internazionale, ben consapevoli che può trasformarsi anche in un volano per l’internazionalizzazione delle nostre imprese. 

La ratifica dell’Accordo da parte dell’Italia è dunque prioritaria per l’impegno politico globale in atto nella lotta ai cambiamenti climatici ed è ancor più importante che l’iter si concluda in tempi brevissimi, ovvero prima dell’inizio della 22a Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro dell’ONU sulla lotta ai cambiamenti climatici (UNFCCC) che avrà luogo a Marrakech dal 7 al 18 novembre, nel corso della quale si prenderanno alcune decisioni relative alla attuazione dell’Accordo, che in quel momento sarà già entrato in vigore.

Come noto, l’accordo è stato firmato da 191 Stati ed è immediatamente stato avviato un impegno collettivo della membership per la sua rapida entrata in vigore, stabilita al 30mo giorno successivo al raggiungimento di due contestuali requisiti: 55 ratifiche rappresentanti almeno il 55% delle emissioni globali. Ciò avverrà il prossimo 4 novembre.

L’UE ed altri 10 Stati Membri hanno già depositato i propri strumenti di ratifica, (Francia, Germania, Ungheria, Austria, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Svezia e Grecia). Tale procedura “irrituale” ,vale a dire il deposito non congiunto di UE e Stati Membri, si è resa necessaria per permettere all’Unione di partecipare alla riunione come attore principale e non come spettatore. Per l’UE rimanere fuori dai negoziati sull’applicazione dell’Accordo, dopo aver profuso tanti sforzi per arrivare a questo punto ed aver finora condotto da leader il negoziato, sarebbe stata una vera beffa. Ciò dimostra la forte volontà comune della UE di mantenere di mantenere il ruolo di driver nell’attuazione dell’accordo e di rinnovare il suo più saldo impegno nell’onorare gli impegni presi.

E’ del resto la prima volta che un Accordo multilaterale di tale portata diventa efficace in così breve tempo, grazie al deposito delle ratifiche di così tanti Paesi. Dopo lo storico consenso raggiunto a Parigi per un Accordo globale e vincolante, tale impegno senza precedenti per la sua rapida entrata in vigore dimostra la profonda consapevolezza della comunità internazionale della prioritaria emergenza posta dal cambiamento climatico e dalle sfide che solo con un collettivo impegno autenticamente globale possono essere efficacemente affrontate per limitare il riscaldamento globale e garantire lo sviluppo sostenibile di tutto il nostro pianeta.

Per quanto riguarda l’Italia, il disegno di ratifica posto all’esame di questo Senato è breve e semplice. Il testo rimanda infatti gli oneri derivanti dai contributi volontari nazionali a futuri specifici provvedimenti normativi, che saranno approntati una volta che la loro portata verrà definita a livello europeo.

D’altro canto, anche per l’Italia, alla luce del cruciale ruolo svolto dal nostro Paese in seno all’UE nell’ambito del più complessivo negoziato globale, risulta particolarmente importante poter partecipare alla prima riunione delle Parti dell’Accordo che si svolgerà a Marrakech.

Per quanto concerne la ratifica dell’Unione europea, il Consiglio ambiente straordinario del 30 settembre scorso ha autorizzato, su proposta della Commissione, il deposito dello strumento di ratifica senza attendere – come è prassi nel caso degli accordi cosiddetti “misti” -  la finalizzazione degli iter di ratifica in tutti gli Stati membri.

L’irritualità della procedura proposta dalla Commissione ha suscitato alcune preoccupazioni in quanto, con la ratifica disgiunta, di fatto l’UE vincola gli Stati membri al raggiungimento degli obiettivi comuni di riduzione delle emissioni prima della definizione dei target nazionali per alcuni settori molto importanti, quali quelli non coperti dal sistema di scambio di quote di emissione (trasporti, agricoltura, silvicoltura, gestione dei rifiuti e uso del suolo).

La proposta della Commissione che definisce gli obiettivi nazionali di riduzione per tali settori (noti come non-ETS), il c.d. regolamento “effort sharing”, ha infatti da poco iniziato il proprio iter negoziale, incontrando l’opposizione di numerosi Stati membri, tra cui anche l’Italia, che si è vista attribuire un target al 2030 (-33%) molto oneroso per il sistema produttivo nazionale.

Per superare queste criticità, lo stesso Consiglio Ambiente ha approvato una dichiarazione di accompagnamento alla bozza di decisione di ratifica dell’Accordo di Parigi nella quale si fissano alcuni principi.

In primo luogo, si chiarisce che la procedura di ratifica disgiunta dell’Accordo è dovuta ad una situazione senza precedenti e ad un contesto unico e non costituisce pertanto un precedente per altri accordi misti.

In secondo luogo, si richiamano le prerogative dei Parlamenti nazionali per ciò che riguarda il rispettivo iter di ratifica. Va precisato, quindi, che non vi saranno conseguenze sulla divisione di competenze tra UE e Stati membri, anche nel contesto dei meccanismi di governance dello stesso Accordo sul clima.

Si riafferma la supervisione del Consiglio europeo su tutto ciò che le politiche energetiche dell’Unione, ricordando che per quanto riguarda i settori non Ets dovranno essere rispettati i principi di cost-effectiveness, equità ed equilibrio degli sforzi per l’assegnazione degli obiettivi nazionali.

Tale ultimo richiamo e’ stato specificatamente richiesto dall’Italia per il negoziato sul regolamento “effort sharing”, i cui target appaiono non del tutto bilanciati e tarati in base alle reali capacità di investimenti degli Stati, aprendo anche alla possibilità di investire di questioni specifiche il Consiglio europeo, che, come noto, approva le proprie conclusioni all’unanimità, a maggiore salvaguardia di eventuali “linee rosse” nazionali. 

Gli impegni indicati nell’Accordo ricalcano quelli che l’Unione Europea ha già adottato nel quadro clima ed energia al 2030 e precisamente, per quanto concerne la riduzione di emissioni di gas serra, un obiettivo collettivo di -40% rispetto ai livelli del 1990. La ripartizione di tale impegno all’interno dell’UE è tutt’ora oggetto di analisi e discussione nelle competenti sedi comunitarie.

Anche gli impegni finanziari richiamati nel testo dell’Accordo erano già stati adottati con gli Accordi di Copenhagen, vale a dire un il raggiungimento dell’obiettivo di 100 miliardi di dollari annui al 2020, con l’impegno a rivedere al rialzo tale impegno nel 2025, anche con diverse modalità di partecipazione, quindi non soltanto a carico dei Paesi attualmente impegnati. L’obiettivo della mobilitazione di queste risorse è aiutare i Paesi più poveri a fronteggiare il cambiamento climatico, richiedendo la definizione di una chiara road map per raggiungere tale obiettivo. A tale proposito sono lieto di informarvi, che proprio durante la Pre COP è stata presentata tale roadmap, alla quale hanno lavorato in maniera sinergica tutti i Paesi donatori, compresa l’Italia, e che dimostra, grazie all’analisi fatta dall’OECD sugli impegni presi, che siamo nella giusta dirittura per ottemperare al nostro impegno finaziario. Potete trovare il testo e l’analisi fatta sul sito del nostro Ministero.

Con l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi la rivoluzione dello sviluppo sostenibile entra dunque nella sua fase più concreta e operativa.

Un passo nella direzione delle sfide future è costituito proprio dalla prossima COP che si terrà a Marrakech.

Questa sarà infatti focalizzata sulle iniziative di implementazione degli obblighi delle Parti, capitalizzando l’attenzione politica generata dal raggiungimento dell’accordo alla COP 21.

Affronteremo l’importanza  di rispondere prontamente alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo in materia di capacity building e di facilitare l’accesso ai finanziamenti internazionali per dare seguito alle azioni e priorità introdotte nei rispettivi piani nazionali sul clima (INDC). Un evento di rilievo in questo senso sarà proprio Il “Dialogo Facilitativo 2016” su questi temi.

In linea con il programma di lavoro approvato a Parigi, nello specifico dovremo decidere sulla Istituzione del Comitato di Parigi sulla Capacity Building (PCCB); affronteremo la review del Meccanismo Internazionale di Varsavia (WIM) sulla perdita e il danno; iniziare a costruire le modalità per riconoscere gli sforzi di adattamento nell’ambito del Global Stocktake e su come le valutazioni dell’IPCC debbano sostenere tale importante processo di confronto sugli sforzi messi in campo; avviare il processo per definire le informazioni da comunicare sulla finanza del clima; proseguire la discussione sull’elaborazione del Technology Framework e sulle modalità della review del Meccanismo Tecnologico.

Rimangono ancora molte sfide da affrontare per la comunità internazionale nel suo insieme, ma si tratta di un impegno che contribuirà ad evidenziare e cementare il senso di appartenenza a quell'unica società universale che è indispensabile strumento per preservare il nostro Pianeta.


Ultimo aggiornamento 28.10.2016