di Gian Luca Galletti - Ministro dell'Ambiente
Le città, in Italia più che altrove, per via della delicata e complessa geo-morfologia del nostro paese, sono la frontiera, spesso il campo di battaglia nella guerra che abbiamo iniziato a sostenere contro le conseguenze del surriscaldamento globale.
Frontiera e campo di battaglia essenzialmente per due motivi:
- perchè nelle città vive la maggior parte degli italiani e quindi i rischi per le persone sono moltiplicati se un evento estremo si abbatte su una zona densamente popolata;
- perchè nelle città, per far posto a palazzi, strade, capannoni, centri commerciali è stato cementificato anche ciò che non si doveva, sono stati tombati torrenti, ristretti gli alvei naturali, occupate ed edificate le aree di laminazione delle piene.
Esisteva anche prima il rischio idrogeologico. Ma prima c’era una alluvione devastante ogni 10 anni, ora ce n’è una ogni 10 mesi, e gli eventi gravi si succedono a decine ogni anno con un carico di danni e di vittime purtroppo pesantissimo. Sono oltre cinquemila le persone uccise dal dissesto idrogeologico dal 1950, 140 negli ultimi 5 anni. Una strage inaccettabile.
Questo tema è al centro di una ricerca di Legambiente, che come Ministero abbiamo sostenuto, e che ha una grande valenza sia culturale che tecnica. Il lavoro svolto centra un tema chiave per il futuro del nostro paese, e cioè l’esigenza di cambiare l’approccio alla programmazione delle nostre città a causa degli effetti dei cambiamenti climatici.
Il riscaldamento globale e gli eventi estremi che innesca - con le “bombe d’acqua” che scaricano in poche ore su aree limitate la pioggia che abitualmente cade in sei mesi o in un anno - evidenzia la crisi “strutturale” delle nostre città, che si somma alla gestione spesso dissennata, a volte criminale del territorio.
Perché se la rete di deflusso delle acque di un centro abitato venne tarata quando fu costruita, magari mezzo secolo o anche un secolo fa’ per reggere, ad esempio, 100 litri l’ora e ne arrivano 500 di litri e arrivano in tre ore, naturalmente la rete non regge, scoppia, l’acqua diventa un fiume di fango e detriti che travolge tutto e uccide tutto ciò che trova sul suo cammino. Immagini di queste fiumane di morte ne abbiamo viste tante in questi anni, in quasi tutte le regioni d’Italia, non c’è area della penisola e delle nostre isole che sia immune di rischi e da lutti più o meno recenti.
La strategia di adattamento ai cambiamenti climatici - che fino a qualche anno fa sembrava un esercizio di anime belle preoccupate per lo scioglimento dei ghiacci polari e per ipotetici innalzamenti dei livelli degli oceani - per noi in Italia è la cosa più concreta che esiste: significa mettere in sicurezza il nostro territorio per evitare danni devastanti e perdita di vite umane.
E per farlo occorre iniziate dalle aree più vulnerabili, più a rischio, che sono appunto le città.
E lo sono doppiamente, perché l’altro lato della medaglia del surriscaldamento globale, che ha ancora nelle città il suo punto di crisi, è l’emergenza smog causata dalla siccità con le pesanti conseguenze per la salute pubblica, in termini di malattie e di decessi che le ultime ricerche hanno dimostrato.
Le città sono aree di massimo rischio quindi sia per le alluvioni che per la mancanza di pioggia, che innesca le condizioni per i picchi di smog, ma anche per le ondate di calore soprattutto in estate.
Esiste, ed il lavoro di Legambiente, lo evidenzia bene, l’esigenza di un approccio organico e che tenga conto della complessità dei problemi ma anche della loro urgenza.
Con l’Unità di Missione sul dissesto, abbiamo posto l’emergenza centri urbani al centro delle priorità di intervento sul dissesto con un piano stralcio da 1 miliardo e 200 milioni.
Con il collegato ambientale e la legge di stabilità abbiamo varato una serie di provvedimenti in materia di mobilità sostenibile, efficienza energetica, “ambientalizzazione” degli immobili pubblici e privati che muovono investimenti per circa un miliardo di euro.
Ci stiamo mettendo insomma non solo la faccia ma anche le risorse.
Tuttavia questo tipo di lavoro deve procedere di pari passo con una assunzione di consapevolezza da parte delle amministrazioni locali in materia di programmazione del territorio.
Io confido che il Parlamento vari in tempi brevi la legge sul consumo del suolo. Sarebbe un altro fiore all’occhiello di questa legislatura che già con la legge sugli ecoreati e con il collegato ambientale ha dato due segnali fortissimi di attenzione alle tematiche ambientali.
Ma le città sono soprattutto dei cittadini che le abitano e delle amministrazioni che le guidano e gestiscono.
Sulla organizzazione delle città, sulla programmazione del territorio è decisivo l’impegno delle amministrazioni locali che devono fare un salto culturale e ripensare i centri urbani per renderli resilienti ai cambiamenti climatici.
Oggi non siamo più dinanzi ad una scelta possibile, bensì dinanzi ad un obbligo politico, morale ed anche economico. Perché i costi del non fare, cioè i danni che il paese subisce per gli eventi estremi, 3 miliardi e mezzo l’anno dal 1945 è stato calcolato, sono molto superiori agli investimenti necessari per adattare le nostre città al clima che è cambiato e renderle al contempo energeticamente più sostenibili e meno inquinate.
E’ la sfida dei prossimi decenni, ed è importante che una parte tanto importante e qualificata dell’ecologismo nazionale, rappresentata da Legambiente, e il Ministero dell’Ambiente, nella diversità dei loro ruoli e funzioni, condividano analisi e impegno in questa partita strategica per il futuro del paese.