Discorso di Galletti al Convegno "Laudato Si, rinnovare l'umano per custodire il Creato" organizzato dalla Cei

Milano Expo, 5 settembre 2015

«Sono particolarmente onorato di essere qui con voi stamani e vorrei aprire il mio intervento con un ringraziamento. Grazie a sua Santità Papa Francesco e alla Chiesa. Grazie come Ministro dell’Ambiente italiano, grazie come cittadino, come cristiano.

Vi prego di credere che non si tratta di un ringraziamento retorico, d’occasione. Per chi, come me, quotidianamente si confronta con i problemi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, lo straordinario impegno che il Pontefice e la Conferenza Episcopale Italiana stanno profondendo sulla “Custodia del Creato” rappresenta un sostegno importantissimo.

Le tematiche ambientali, quando escono dall’ambito della genericità ed affrontano problemi concreti, di singole comunità, sono mosse spesso da logiche e interessi particolari: economici, politici. Sono territorio della tecnica, della scienza, e sovente purtroppo della propaganda.

La discesa in campo del Pontefice con la sua Enciclica, affiancato dall’impegno dei Vescovi, oggi qui e ogni giorno nelle diocesi, ha avuto un effetto potente su questi argomenti, perchè giunge da una dimensione diversa, quella spirituale, e richiama un imperativo diverso quello morale.

Io credo che in questo cambio di visuale, in questo salto di qualità stia il valore altissimo dell’opera che Papa Francesco ha avviato e che oggi qui rilanciamo in questa decima celebrazione della Giornata per la Tutela del Creato.

Da un anno e mezzo, nella mia veste di Ministro dell’Ambiente, sono il “negoziatore” italiano nella trattativa internazionale sul clima. Nell’ultima conferenza Onu che si è svolta l’anno scorso a Lima, in quanto presidente di turno dell’Unione Europea, ho avuto l’onore di guidare la delegazione dell’Europa nel difficile negoziato. In quelle lunghe giornate di discussione, nel certosino lavoro di definizione dei documenti per trovare i punti di intesa più avanzati possibile, io ho spesso avuto l’impressione che ci fosse bisogno di altro.

Che, prima e più della capacità di trovare soluzioni tecniche a problemi scientifici, prima e più della possibilità di trovare risorse economiche per finanziare un modello di sviluppo globale sostenibile, ci fosse bisogno di uno scatto, di una pregiudiziale etica.

Ho ripensato a questa mia riflessione leggendo l’enciclica del Papa quando afferma che “la cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma”

L’ambiente, la terra, il creato non si salvano se si trovano le intese, i punti di equilibrio, se si contemperano i diversi interessi.

L’ambiente ed il creato si salvano se esiste una spinta morale e politica fortissima, se estiste un impegno delle coscienze, una assunzione di responsabilità nei confronti delle future generazioni.

Se esistono questi presupposti le soluzioni tecniche, le intese, i target sono una conseguenza, certamente laboriosa, ma inevitabile.

Intendo dire che non si deve definire un’intesa politica solo se si trova un accordo tecnico ed economico. Bisogna capovolgere questa impostazione.

Se c’è una volontà politica ed un impegno etico, questa volontà e questo impegno detteranno le soluzioni tecniche.

Papa Francesco ci ha messo davanti al dovere di questa scelta morale con chiarezza, lo ha fatto parlando a ciascuno di noi, ai governanti, agli economisti, ai banchieri, agli industriali, ad ogni essere umano perchè nessuno è esente dal dovere di scegliere e quindi agire per difendere l’ambiente che ci è stato dato e che noi dobbiamo lasciare in eredità alle generazioni future.

Ormai nessuno può dire: questo non mi riguarda.

Il Pontefice ha scritto con chiarezza che “non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza”.

Non c’è più spazio, nè possibilità, nè diritto all’indifferenza. Ogni persona vive dentro il proprio mondo ed è travagliata da problemi personali, sovente gravi, ma le immagini atroci che i media rilanciano in questi giorni, raccontando le tragedie dell’immigrazione interrogano le nostre coscienze.

A tratti mettono sotto accusa le nostre coscienze che, distratte, non hanno compreso l’enormità della fenomeno che stava maturando. Un esodo che appare inarrestabile di fronte al quale ogni egoismo, ogni ragionamento su quote, distrubuzione dei migranti fra i paesi, strategie nazionali, appare arido se non presuppone una profonda comprensione umana.

Dobbiamo essere tutti consapevoli che non sono “loro” un problema per noi, ma che tutti insieme abbiamo un problema da risolvere per una crescita dell’umanità in cui abbia valore la dignità dell’uomo.

E non c’è una questione delle migrazioni slegata da quella della lotta alla povertà, slegata da quello della tutela dell’ambiente e di una più sostenibile produzione e distribuzione delle risorse anche energetiche.

Lo sottolinea anche il Papa quando afferma che “è tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale”, Questi profughi dei cambiamenti climatici – ammonisce Francesco - “non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa.”

E in apertura dell’enciclica troviamo questo nodo sociale, economico e umano lucidamente indicato, quando si ricorda “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta” e si ribadisce “la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso”

Ho spesso ripetuto in questi mesi, parlando del vertice di Parigi, che ciò che si deve siglare non è solo un accordo sul Clima. O meglio non è possibile un accordo sul clima che non sia anche un accordo su un nuovo modello di sviluppo globale.

Per limitare l’effetto serra dobbiamo emettere meno C02, che è prodotta nelle attività umane principalmente dall’uso di combustibili fossili. Dobbiamo ridurre drasticamente l’uso di carbone e petrolio. Ciò significa che un accordo sul clima dev’essere inevitabilmente una intesa strategica sull’economia e sui sistemi produttivi, perchè si tratta di cambiare la fonte di energia che ancora oggi, in grandissima parte, alimenta tutte le attività umane sul nostro pianeta.

Nel messaggio dell’episcopato italiano per la decina “Giornata per la Custodia del Creato” c’è un esplicito riferimento di Parigi ed un monito al Governo Italiano che accolgo con piacere perchè è in piena sintonia con il mio stato d’animo e il mio lavoro in vista di quell’appuntamento.

Vi assicuro che il “forte impegno del Governo italiano, per un accordo di alto profilo, che garantisca un futuro sostenibile al clima planetario” che voi chiedete, c’è già e sarà amplificato mano a mano che ci avviciniamo alla Conferenza Onu. L’Italia oggi in Europa, forse diversamente rispetto ad alcune stagioni del passato, è fra i paesi che spingono di più per un accordo che sia quanto più ambizioso, impegnativo, e vincolante. Anche perchè un accordo al ribasso, per me, non è una ozione possibile, un accordo al ribasso sarebbe un fallimento perchè inutile a fronteggiare i cambiamenti climatici.

Purtroppo la storia delle conferenze sul clima è anche una storia di occasioni mancate e lo ricorda anche il Pontefice nella “Laudato sì” quando rileva che “la sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente”.

Siamo consapevoli della difficoltà del compito e non sottovalutiamo assolutamente gli ostacoli che ancora si frappongono al raggiungimento di una intesa globale. Ma noi siamo spinti da un forte “ottimismo della volontà” che non dimentica per un attimo i nodi che la ragione politica pone ancora oggi, a meno di tre mesi dalla conferenza, sul tavolo.

Sono convinto che a tutti i livelli il nodo di fondo, e cioè che la sfida dei cambiamenti climatici rappresenta una questione etica prima che politica, stia diventando patrimonio comune a livello internazionale.

Nei discorsi che ascolto nelle sedi internazionali in questi mesi sento sempre più spesso echeggiare argomenti che mi richiamano quelli del Papa quando riferendosi alle nostre responsabilità ci chiede: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi”.

Io credo che l’appello del Pontefice alla “conversione ecologica”, ad una “ecologia integrale”, che sia ambientale, ma anche economica e sociale, si stia facendo strada.

L’appello di questi giorni del Presidente Obama dalla lontana Alaska per promuovere il raggiungimento di una intesa a Parigi, gli annunci del Governo cinese sulla riduzione delle emissioni, sono degnali importanti in questa direzione, soprattutto perchè vengono dai due paesi che oggi sono i principali produttori di gas serra e senza la partecipazione dei quali una intesa globale davvero efficace sarà impossibile.

Certamente le letture possibili delle parole del Pontefice sono molte e ciascuno le sente e le interpreta sulla base della propria cultura, della propria coscienza. Anche in questo sta la grandezza del messaggio papale.

Io ho trovato di grande stimolo, anche personale, l’invito alla sobrietà di vita che Francesco rivolge soprattutto a noi occidentali, il suo appello contro lo spreco alimentare che riguarda circa un terzo del cibo prodotto nel mondo.

«Il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero» , dice il Papa, ed io condivido profondamente questa affermazione. Per questo ho impegnato, assieme al collega Martina, il governo in un lavoro serio su questo tema che ha dato vita alla Carta di Bologna poi recepita nella Carta di Milano, eredità politica e culturale dell’Expo.

Alcuni hanno visto nell’appello alla sobrietà un invito a quella che alcuni settori dell’ambientalismo chiamano “decrescita felice”, io penso invece che sia un monito più alto. Non penso che l’obiettivo sia quello di rendere più poveri alcuni per rendere meno poveri altri, ma è necessario necessario che “i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile” . Non a caso Francesco, citando Benedetto XVI dice che “è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni del suo uso”.

C’è una frase dell’enciclica che spiega bene il valore della sobrietà: “La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario”

La sfida che il Pontefice lancia, e che noi politici abbiamo il dovere di raccogliere, è chiara: occorre “cambiare il modello di sviluppo globale”.

Una operazione economica che presuppone quella “rivoluzione culturale” che il cuore dell’enciclica e che il Papa sintetizza con l’esigenza di “ridefinire il progresso”.

Una sfida che va raccolta con l’impegno internazionale ma anche con il lavoro in casa nostra. I vescovi italiani chiedono al Governo di “rafforzare la sostenibilità dell’economia, privilegiando sempre più le energie rinnovabili e potenziando l’ecoefficienza, offrendo così anche nuove opportunità di lavoro”.

Questo stimolo è importante ed è già parte integrante del nostro lavoro. Oggi in Italia quasi il 40% dell’energia elettrica consumata proviene da fonti rinnovabili, abbiamo degli standard di efficienza energentica che sono fra i migliori in Europa, gli incentivi che abbiamo programmato in questi anni per l’efficientamento delle abitazioni hanno dato risultati molto positivi sia in termini di risparmio energetico che in termini di occupazione e sviluppo di un settore che ha attraversato una grave crisi.

Certamente abbiamo gravi problemi ancora aperti e che stiamo affrontando con impegno e tenacia: penso ad esempio al problema dei rifiuti col 40% degli scarti che ancora finisce in discarica, all’inquinameto delle città che impone un ripensamento ed una riorganizzazione degli usi civili e del sistema dei trasporti, alla bonifica dei vecchi siti industriali che hanno inquinato per decenni alcune aree produttive.

Il Governo sente fino in fondo ed a tutti i livelli la responsabilità di questi nodi da sciogliere fra i quali certamente un ruolo fondamentale lo riveste la messa in sicurezza del territorio, devastato da eventi estremi, alluvioni e frane, che si ripetono sempre più spesso e sempre con maggiore intensità con il loro carico inaccettabile di lutti e gli immensi danni. Abbiamo fatto una scelta forte, quella della prevenzione, varato un piano da 10 miliardi di euro da spendere da qui ai prossimi 7 anni. E’ un impegno gravoso ma essenziale. Il prezzo del non fare sarebbe molto, molto più alto.

Concludo ringraziandovi ancora per questa opportunità di dialogo e ribadendo che, sul tema della salvaguardia del creato, esiste una piena condivisione di obiettivi e, per quello che mi riguarda, da cristiano, una piena adesione allo spirito con cui il Papa e la Chiesa leggono la questione ambientale come questione globale.

Dice Francesco: Se «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi».

Noi lottiamo per evitare la desertificazione del pianeta e siamo al vostro fianco per combattere la desertificazione delle coscienze».

 

Gian Luca Galletti, ministro dell'Ambiente

 

 


Ultimo aggiornamento 16.09.2015